giovedì 16 maggio 2013

Egemonie e dignità.

Viviamo un periodo storico nel quale alla caduta delle grandi narrazioni,
alla fine delle verità incontrovertibili abbiamo sostituito un relativismo dal fiato corto,
la vulgata individualista è facente parte di questo contesto,è il Sistema che crea l'individuo,ed ora il sistema ha bisogno che tutto sia sfuggente,
Bauman direbbe liquido,quella liquidità che porta all'accezione dell'adesso e niente più,dell'io incondizionato da terzi,anch'essi siano compagni di percorso.
Non c'è molto da fare,il problema è nell'egemonia culturale che ad ora ho sommariamente descritto e che è permeata capillarmente in ogni reticolo di vita quotidiana,non solo quella lavorativa,se poi ancora questa separazione abbia un senso.
Non vi è qualcuno più preparato o più furbo, è l'inevitabilità del decorrere storico del quale tutti ne siamo intimamente pervasi,le battaglie si dovrebbero spostare inevitabilmente su un altro piano concettuale e dialogico,una prassi che porterebbe indissolubilmente non al settarismo contrapposto,debole di fronte all'individualismo, ma al conflitto sociale sull'egemonia culturale.
Ad ognuno la scelta,nessun biasimo , solo un avvertimento,in gioco c'è la dignità.

lunedì 1 aprile 2013

Concetti.

Il concetto di "de-crescita" è complesso e pregno di rilevo prospettico,
il credere che ci possa essere ancora una crescita indefinita, unita indissolubilmente allo spreco ed al profitto è divenuto astorico,
chiunque continui sfacciatamente in questa strada parla del nulla e di una convivialità futura sempre più a rischio.
Bisogna che si instilli nel gergo sociale e politico la discussione dello sviluppo come fine e la crescita come mezzo,le strade da percorrere sono molteplici,dall'abbandono della contabilità del PIL alla redistribuzione delle proprietà produttive e di concerto ai suoi utili,dalla localizzazione delle produzioni (il glocale),alla internazionalizzazione dei saperi svincolati dai dettami privatistici.Merito dei cinque stelle aver aperto uno squarcio,ma sono loro nella possibilità di avviare questa alternativa?

Non mi è molto chiaro il concetto di nazionalizzazione delle banche,in tal caso non vi è il rischio di collettivizzare un debito incontrollato fatto di una quantità indefinita di prodotti finanziari nel ventre delle banche,quantità queste ben oltre la liquidità degli istituti stessi? 
Non sarebbe più logico puntare,da una parte ad un limite di espansione dei suddetti,ad ora non posto,di fatto tante banche sono così dette "troppo grandi per fallire",
oltremodo un ritorno ad una netta divisione degli istituti finanziari da quelli creditizi,allora una banca nazionale avrebbe un suo evidente peso in una sorta di effetto calmierante degli interessi in seno al credito?
Sono queste operazioni fattibili ed impellenti e la linea dovrebbe essere europea forzando sugli accordi "Basilea".

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